Genoeffa Cocconi. I miei figli, i fratelli Cervi, un docufilm alla scoperta di una figura femminile. In sala a Brescia con il regista.
È il 25 luglio 2025, ottantadue anni dopo quel lontano e storico 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del fascismo sfiduciò Mussolini e il re ne ordinò l’arresto: la data è perfetta per la proiezione del film Genoeffa Cocconi. I miei figli, i fratelli Cervi, una proposta attraente per il pubblico che affolla la sala del cinema Nuovo Eden di Brescia. Lo offre l’ANPI provinciale all’interno delle iniziative sull’80^ della Liberazione e lo sponsorizzano ANED, Associazione nazionale ex deportati, e il cineclub AGEnda Cinema di Brescia che ha condotto l’intervista al regista Marco Mazzieri. Con una carriera da docufilm di tutto rispetto e da aiuto regista di nomi da storia del cinema, da Franco Zeffirelli, a Maurizio Nichetti, a Tinto Brass, Marco Mazzieri nel 2025 ha realizzato questo film, prodotto dal giovane Alessandro Leo per Aleo Film. La sua cifra stilistica lo distingue da altri documentari per un originale utilizzo di linguaggi diversi: interviste tradizionali, immagini di repertorio, clip cinematografiche, l’animazione e anche la fiction affidata a due attrici di calibro, Lucia Vasini e Maria Vittoria Dallasta. La prima, che interpreta Genoeffa Cocconi, la madre dei fratelli Cervi, ha lavorato con Franca Rame e Dario Fo e la seconda è stata protagonista del recente Gloria! di Margherita Vicario. La Dallasta interpreta una giovane ricercatrice sulle tracce di Genoeffa in un incontro che vuole essere simbolico di un dialogo tra generazioni sulla storia del nostro Paese. Ed è dalla storia che è partito l’appuntamento con l’introduzione di Lucio Pedroni, segretario dell’ANPI provinciale di Brescia, che ha ricordato il 25 luglio del 1943 quando la notizia della caduta del fascismo fece sperare anche nella fine della guerra e della dittatura. Non fu così. Lo esemplifica tragicamente la nota vicenda dei sette fratelli Cervi che, promotori in quella giornata di festa della distribuzione di pastasciutta gratuita per tutto il paese di Campegine in Emilia-Romagna e dopo l’8 settembre entrati nella Resistenza armata, furono tutti uccisi dai fascisti, senza processo, dopo pochi mesi, il 28 dicembre del 1943, al poligono di tiro di Reggio Emilia.
Se la storia ci ha ben raccontato dei sette fratelli antifascisti e del padre Alcide, anche lui resistente e scampato all’eccidio, niente sappiamo della mamma, Genoeffa Cocconi, di cui il film è un omaggio e un doveroso risarcimento postumo di tanto silenzio su di lei. Ne esce una figura sorprendente di donna colta, autorevole, attenta educatrice ai valori cristiani nella loro accezione umanistica. Genoeffa è indiscussa personalità anche politica: la locandina riporta la sua firma così che il film appare, fin dal titolo, un’affermazione forte di un’identità femminile negata. Maria Cervi, figlia di Antenore, uno dei sette fratelli, la principale artefice della crescita dell’Istituto Cervi come istituzione culturale a livello nazionale e della rinascita del Museo Cervi come accreditato luogo di memoria per tutto il Paese, dichiarava spesso nei suoi incontri pubblici la necessità di onorarne il coraggio e il ruolo attivo nella Resistenza. Da un’intervista a Maria Cervi da parte di Lorena Ravanetti, che ha scritto il soggetto, nasce, infatti, l’idea del film che si avvale di testimonianze di donne -solo donne come sottolinea il regista- di grande carisma e notorietà: Fiorella Mannoia, che apre e chiude il film secondo una circolarità efficace, Teresa Vergalli, indimenticabile staffetta partigiana che ci ha lasciato a riprese appena avvenute, Benedetta Tobagi, autrice del libro La Resistenza delle donne, Liliana Cavani, regista del primo documentario del 1965 che affronta il tema della donna nella lotta di Liberazione, e altre ancora, accomunate dalla volontà di gettare luce non solo su Genoeffa, ma anche sul tema più ampio del ruolo femminile nella storia di ieri e di oggi. Per questo il film non ci lascia con le lacrime agli occhi, nonostante la commozione sia sempre in agguato: il messaggio è quello di un protagonismo a cui non sottrarsi, a partire da quel maternage di massa, come dice la Tobagi, che durante la Resistenza ha portato le donne fuori di casa senza che rinnegassero il loro profilo tradizionale e che oggi si declina nella varietà dei volti e delle storie delle suggestive immagini finali.
Il regista Marco Mazzieri è soddisfatto per l’afflusso del pubblico, il calore dell’applauso, l’interesse suscitato: “Fare cinema per me significa rifarmi all’esperienza di Zavattini e di Olmi nella sfida di far diventare il passato materia viva da comunicare a un numero ampio di spettatori”. A Brescia ha vinto la sfida!
Laura Forcella