Ciak For You _ MAURO JOHN CAPECE


Per la rubrica Ciak For You, Fedic Magazine ha intervistato il regista Mauro John Capece (San Benedetto del Tronto il 18/08/1974) del Cineclub Evoque 


 1) qual è, se c'è, la tua cinematografia di riferimento.

Credo di essere un autore molto aperto, sia nei confronti delle nuove visioni, sia verso quelle più classiche, e non penso di avere una cinematografia di riferimento ben definita. Mi sono sicuramente formato sui film d’essai, prevalentemente stranieri, anche se i grandi classici del “colosso italiano” mi sono piaciuti molto e hanno avuto un impatto molto significativo su di me. Quando muovevo i primi passi nel mondo del cinema in Italia, però, si producevano film spesso deludenti: commedie volgari anni Ottanta e pellicole visivamente poco curate. Questo rendeva inevitabile lasciarsi affascinare dal cinema estero, che in quel periodo rappresentava il “vero cinema”.

Ricordo ancora quando, da ragazzo, andavo a New York per studiare come si facevano i film. In quegli anni Darren Aronofsky pubblicò Pi Greco - Il teorema del delirio, un’opera realizzata con pochissimi mezzi. La sua uscita fu per me uno shock, quasi un’illuminazione. Dimostrava che era possibile fare cinema indipendente, libero e creativo anche con budget ridotti. Da cinefilo squattrinato e di famiglia semplice, iniziai a pensare che forse anch’io avrei potuto avere una chance e fare un Film, come gli autori che tanto amavo. E non importava solo avere successo e fare il denaro (come ragionano i cineasti di oggi): il mio desiderio, come quello di molti della mia generazione, era fare qualcosa di "diverso dalle solite cose", di fare una carriera da persona libera.

Negli anni Novanta il cinema visse una stagione davvero magica: essere regista non era solo un mestiere, ma una vera forma d’arte personale. Fecero la loro comparsa autori prolifici e geniali come Kim Ki-duk, Lars Von Trier, Thomas Vinterberg, Ulrich Seidl, Gaspar Noé, David Lynch era in grande forma, ma ce n’erano molti altri. In quel mondo, andare al cinema era ancora di moda, e ricordo le nottate passate a discutere di Nouvelle Vague o di Heimat di Edgar Reitz con i miei compagni di corso. Poi nacque il movimento Dogma95 che mi ispirò profondamente per la semplicità dei contenuti del decalogo e per il suo innegabile discorso politico. Girai il mio primo film Evoque Reality Show Dogme#61 e fu selezionato alla Festa del Cinema di Roma nella bellissima edizione diretta da Gian Luigi Rondi. Questo lavoro mi permise di andare in Danimarca e di conoscere i registi della Zentropa e dare il via alla mia carriera cinematografica in modo sfacciato e senza paura.

Tutto questo per dire che le influenze mie e della mia generazione sono state complesse e difficili da definire con chiarezza.  Sul piano della direzione fotografica, invece, ho sempre avuto gusti molto precisi. Amo lo stile europeo, incisivo ed espressionista: luci dure e dirette, geometrie di linee e ombre, contrasti forti, simmetrie, luce stratificata, atmosfere definite, molti flare e un bokeh molto spinto. 


2) qual è la tua modalità di fruizione (film in sala, in cineclub, in TV, ai festival).

La proiezione in sala è e sarà sempre la mia modalità preferita, sia che si tratti di cinema, cineclub o festival. In questa epoca di oscurantismo culturale, per vedere film autentici e non commerciali è spesso necessario affidarsi a piattaforme streaming o frequentare festival come addetti ai lavori, perché le sale sono dominate da proposte mainstream. Nonostante ciò, il fascino della sala e della visione collettiva (magari con cineforum) rimane insostituibile per me.


3) Nel giudicare un film cosa guardi principalmente.

Sicuramente lo analizzo a livello tecnico, artistico e di struttura: l'acting, la fotografia, il suono, lo stile, il ritmo, l'originalità, ma in realtà adotto un metodo piú semplice per capire se un film mi é piaciuto oppure no: vado a dormire e aspetto il giorno dopo... se, in qualche modo, ripenso ancora al film, significa che mi é piaciuto, altrimenti si trattava di un film che non era nelle mie corde.

In compenso ritengo che non esista un metodo preciso per dire se un film è bello oppure non lo è, siamo sempre nel campo del "gusto personale" e ció che piace a me, puó non piacere ad altri e viceversa. A me piace credere fermamente nella libera circolazione delle idee e per me è profondamente giusto che ci sia libertà di pensiero (e di giudizio).


4) Hai un film a cui sei particolarmente legato. Per quale motivo?

Sono molto legato a un film che vidi da bambino a sette anni. Per fortuna, i miei genitori mi lasciavano libero di vedere anche contenuti vietati ai minori. Vidi un film che trattava temi molto forti: Taxi Driver di Martin Scorsese. È un film che ho studiato, inquadratura per inquadratura. Per me fu una sorta di rivelazione vedere cosí presto un film cosí tosto. Tra l'altro lo vidi anticipato dal sanguinolento The Big Shave, il corto sempre di Scorsese che apriva la serata. Non è stato un caso che avrei fatto successivamente le mie esperienze newyorkesi. Mi sento uno della East side, anche in Italia e questo, forse, proprio grazie alla visione di quel film.


5) Come ti vedi sul set? Qual'è la tua caratteristica più evidente?

Dopo trent'anni di set e dopo aver girato tantissimo (soprattutto, nove lungometraggi) sento di avere la giusta padronanza e di essere un regista molto consapevole. Mi sento sereno, tendo a essere calmo e razionale nelle scelte. Mi piace dedicare molto tempo a ogni singola scena. Non sono sicuramente un "buona alla prima" né come regista né tantomeno come DP, anche se ritengo di essere molto veloce nella preparazione delle scene. Sul set mi piace dialogare e tendo ad essere molto umile e ad ascoltare i consigli o le considerazioni degli attori e del cast tecnico. Il cinema è un’arte collettiva e va fatta assieme e ogni persona coinvolta nella produzione è fondamentale. Sono fermamente convinto che correre e agitarsi non porta mai bene sul set: se si va con la giusta velocità, con buona energia e con regolarità, si chiudono tutti i piani di lavorazione. A livello di stile sicuramente sono alla ricerca di storie non banali e amo fare film molto densi di contenuto ma estetici e rigorosi. Pur essendo avanguardista nei temi, amo il cinema classico e questo crea un paradosso visivo evidente.


6) Sei d'accordo sull'affermazione di Quentin Tarantino. Io rubo da ogni singolo film. Rubo da tutti. I grandi artisti rubano, non fanno omaggi.

Sinceramente no. Capisco che a volte fare un omaggio a un regista puó essere una cosa bella e divertente ma ritengo che un'artista debba avere il coraggio di trovare un proprio stile personale e riconoscibile. É importante, a mio parere, non essere un semplice mestierante perché questo significa essere libero dai temi imposti dal sistema (in stile compitino) e soprattutto dal denaro. Un vero artista non fa i compiti e non crea opere per piacere al pubblico o al mercato: piace al pubblico e al mercato e basta ma come desidera lui. Allo spettatore devi sempre volere bene, ma lo devi far sognare o lo devi turbare o scandalizzare. L’importante è non farlo restare indifferente alla tua opera. Col tempo e dopo tantissime lacrime amare, ho capito che si poteva essere liberi solo se si riusciva ad avere uno stile personale. In compenso da qualche anno, dedico ogni mio film a un grande autore del passato di mio gradimento non perché sussistono assonanze stilistiche, ma solo per dare alle nuove generazioni e ai critici qualche spunto di riflessione ulteriore. Così il lungometraggio Reverse a Sidney Lumet, il lungo La Danza Nera è stato dedicato a Pierpaolo Pasolini, e Unlucky to Love You a Edgar J. Ulmer. Il mio prossimo film, in uscita nel 2025 che si intitola AncheSeLiOdio sarà dedicato a François Truffaut. Si tratta di omaggi ma non ho rubato nulla da loro, semmai li ho citati per fare pubblicità. Poi è pur vero che ho visto The Substance di Coralie Fargiat ed è pieno di omaggi e inquadrature rubate ad altri registi e il film mi è piaciuto molto lo stesso...


7) Il tuo ciak personale che ricordi meglio di altri.

Questa è una bella domanda ma è davvero difficile rispondere perché ce ne sono tanti. Posso dirti solo che i ciak che mi piacciono di più sono sempre quelli che hanno un coefficiente di difficoltà elevato a livello di produzione e che ti fanno pensare: non ce la farò mai a chiudere questa scena. A volte succede che quando devi girare i "ciak da megafono” (come li chiamo io) perdi il controllo del set e rischi che la giornata vada in fumo perchè le variabili sono davvero troppe, mentre poi, alla fine, tutto torna e riesci a portare a casa un bel girato, anche se ti sei preso dei rischi importanti. Cito giusto un esempio:  ne La Danza Nera, abbiamo ambientato una scena in Puglia, a Novoli, durante l'evento della Focara, ovviamente con tutte le autorizzazioni del caso. La Focara è il secondo evento più importante del Salento dopo la Taranta e richiama migliaia e migliaia di persone da ogni dove. Durante la festa, a gennaio col freddo, viene acceso un enorme falò molto caratteristico e suggestivo offerto a Sant'Antonio Abate, il loro santo patrono. E noi decidemmo di girare in condizioni disumane, con una troupe davvero sottodimensionata e con il vento che portava fumo e cenere sulle telecamere, sui tecnici e sugli attori. Gli obiettivi erano luridi ed eravamo stremati. La scena era piuttosto semplice: Flavio Sciolè, che interpretava il sindaco nel film, andava in mezzo alla sua cittadinanza durante una festa presumibilmente da lui organizzata, mentre Corinna Coroneo, che interpretava una donna della controcultura che lo avrebbe successivamente rapito e torturato, lo seguiva, lo studiava e bruciava dentro di rabbia assieme al falò. Ma nella festa era davvero difficile, se non impossibile, lavorare: liberatorie da far firmare, i curiosi, la festa che mano a mano che si andava avanti e si scaldava. C’era un frastuono enorme dovuto alla musica che era diffusa a volume altissimo. Nel caos, notai che al posto di un operatore di ripresa c’era il fonico e che tutti stavano facendo qualcosa per il film, ma fuori ruolo. Il cinema è anche questo: magia dello stare insieme. In compenso la scena venne benissimo, anche se avevo paura che non ce l'avremmo mai fatta. 


8) Quanto è cambiato il modo di fare cinema rispetto ai tuoi primi approcci?

Domanda interessante. Diciamo che è cambiato tanto e cambierà sempre. Soprattutto a livello tecnico e tecnologico. Pensa che quando ho iniziato a fare i film, giravo con la pellicola. Poi sono arrivati nell'ordine: il nastro, il digitale in SD, il 3d, poi il Full HD, il 2K, il 4K, l'ultra HD. Ho usato tutto. Ho girato in tutti i modi. Ora si iniziano a fare uscire i film in 8k in oriente e, in fase di ripresa, i direttori della fotografia stanno passando dal Super35 (che preferisco) al Full Frame (che sembra essere lo standard attuale) e poi al 65mm 17k. E nel futuro c'è anche l'intelligenza artificiale che avrà sulla nostra società e sulla nostra arte un impatto simile a quello che ebbero la rivoluzione industriale o il passaggio dal muto al sonoro. Quelli della mia generazione sono abituati ai cambiamenti: siamo passati dalla pellicola al digitale e dalla macchina da scrivere allo smartphone. Tutto cambia ma, a mio parere, la grammatica del Cinema è cambiata e cambierà pochissimo. C'è davvero poco da inventare in tal senso: le inquadrature, i movimenti di macchina, semplici e complessi, sono proprio come le lettere dell'alfabeto che compongono le parole e che poi diventano discorsi sempre piú articolati.


9) qual è il film che prima o poi vorresti girare (se c'e).

Questa domanda mi mette molto in difficoltà perché io vorrei sempre fare tanti film e ho tante sceneggiature a disposizione su cui lavorare. Nel primo semestre del 2025 ci sarà l'uscita di AncheSeLiOdio, un lungometraggio che sono riuscito a fare dopo tanti anni di lavorazione e pre produzione che è in post produzione e di La Paura dei Numeri, un cortometraggio davvero ben riuscito. Attualmente sto finendo di girare un lungometraggio molto faticoso che si chiama La Soprano Italiana e sarà il mio ritorno al cinema d’autore degli esordi. Questo per dire che dopo tutte queste produzioni, forse mi dedicherò a fare fotografie di film di altri registi per un pò… anche se, a pensarci bene, un film lo vorrei proprio girare: si tratta di una storia d'amore, ambientata in parte in Italia e in parte all'estero.