Fiore mio di e con Paolo Cognetti

 


Fiore mio di e con Paolo Cognetti

Due proiezioni con AGEnda Cinema

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“La vita è l’arte dell’incontro” si legge nel film Fiore mio di e con Paolo Cognetti: la frase compare su un foglio scritto a mano, appeso a una parete ben in vista al rifugio “Ottorino Mezzalama” sul Monte Rosa. Secondo il critico cinematografico Massimo Morelli del cineclub Fedic AGEnda Cinema questa frase è la chiave di interpretazione del film, un road movie d’alta quota, lungo i sentieri percorsi dal regista- scrittore in solitaria o in compagnia, ma sempre con il suo cane Laki: gli incontri scandiscono tappe che sono momenti di scambio di idee, esperienze, vissuti. Il film ce li restituisce con una naturalezza convincente che conferisce ai dialoghi un’autenticità rara, non ridotta nemmeno dalla macchina da presa piazzata spesso di fronte a chi parla in primi piani prolungati.

Così Massimo Morelli il 19 dicembre scorso ha introdotto, al cinema Nuovo Eden di Brescia e al cinema Agorà di Ospitaletto, due affollate proiezioni del film che ha riscosso un sincero e commosso gradimento di pubblico confermato dal dibattito successivo.

“Il silenzio della montagna ci ha invaso e ci ha raggiunto la pace, quella cercata dalle persone che incontriamo nel corso del film - dichiara una spettatrice, cogliendo bene che non si tratta di finzione e che a parlare non sono personaggi, inventati da un bravo sceneggiatore, ma persone vere che si interrogano, ci interrogano e si rivelano alla ricerca, come noi, di un senso da dare al nostro quotidiano andare. Paolo Cognetti è lì a fare domande e a inserire qualche ricordo privato che echeggia tra le pagine dei suoi libri. Lo coglie bene chi lo conosce.

Il silenzio della montagna, accompagnato da una toccante musica di Vasco Brondi che arriva all’anima, tanto silenzioso non è: ascoltiamo gli animali, il vento, l’acqua, i rumori e le voci degli uomini e delle donne che la percorrono e che la abitano anche in alta quota, anche in condizioni difficili, sempre con un progetto, diverso per ognuno, mai scontato. Non è scontato, per esempio, quello del cuoco rifugista nepalese che sarebbe facile da scrivere, ma che è bello lasciare scoprire e non è scontato quello di Mia che in montagna sta, senza fuggire.

E in alta quota sul Monte Rosa si incontrano anche il buddismo, la montagna di Antonia Pozzi, l’allarme per lo scioglimento dei ghiacciai, temi tutti congeniali allo scrittore Paolo Cognetti qui al suo primo lungometraggio, ma con una precedente esperienza di cinema. Formatosi alla Civica Scuola di Cinema di Milano, dove è nato, ha realizzato diversi cortometraggi e ha collaborato al film Le otto montagne, premiato nel 2022 a Cannes e tratto dal suo omonimo libro, vincitore del Premio Strega nel 2017.

C’è anche, non secondario, il tema dell’acqua, della sua ricerca, della sua scarsità, della sua simbologia legata a una ritualità che nel film costituisce un filo narrativo: anche per questo il documentario assume la fisionomia di un racconto.


Tra le immagini, compare il fiore del titolo, che non è solo un richiamo alla struggente canzone d’amore di Andrea Laszlo De Simone nella colonna sonora del film, ma anche un tenero inno alla bellezza che ispira questo viaggio in montagna, una bellezza fragile e minacciosa insieme, insufficiente a salvarci, ma – come dice l’esergo del film- potenzialmente capace di farlo. La montagna per Paolo Cognetti non è lo spazio della sfida, della competizione con gli altri e con se stesso, ma quello del confronto, del viaggio, dell’amicizia, è il fiore dell’anima che ognuno di noi, a suo modo, cerca di far crescere e curare nello spazio intimo del proprio personale modo di essere al mondo.                                                                                                                                  

 Laura Forcella